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Visualizzazione dei post da luglio, 2018

Le colline dove si è sparso il sangue ("La casa in collina" di Cesare Pavese)

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Lettura mirabile, quintessenza dello stile narrativo di Pavese, ricca delle sue descrizioni meravigliose di una natura serena e imperturbabile, del suo incedere maestoso nella lingua italiana. Serbatoio di frasi perfette, di parole che sembrano illuminate dal di dentro e spiccano non solo sulla pagina, ma soprattutto dietro agli occhi chiusi di chi immagina, leggendo.  Mi scuso per l'enfasi, ma non vi è altro modo per me di esternare cosa sia leggere Cesare Pavese. Qui, Pavese si arrovella sul ruolo dell'intellettuale in una condizione come quella del periodo cruciale che va dall'8 settembre 1943 alla Liberazione (il 25 aprile 1945). Lo fa con grande onestà, non nascondendo il senso di inutilità, le paure, la passività e il pessimismo di Corrado, il protagonista, che sperimenta su se stesso come la guerra possa inaridire gli animi. Corrado respira le colline e se ne sta nei sentieri fra i boschi, senza decidersi mai a far niente, nascosto ai fascisti, all'amore, all

Train de vie (La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead)

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Sono un po’ a disagio a parlare di cosa mi è rimasto dopo la lettura di questo libro. Perché ad essere sincera l’impronta emotiva che mi ha lasciato è stata davvero sbiadita, povera, fredda. Come spesso accade, avevo aspettative non trascurabili: un libro che ha vinto premi prestigiosissimi e ha fatto scomodare più di un paragone (dal Quentin Tarantino di Django unchained a Il Colore Viola di Spielberg). A me è venuto in mente 12 anni schiavo di Steve McQueen ad esempio. Citazioni cinematografiche soprattutto, proprio perché il libro ha questa marcata caratteristica. Da un certo punto di vista sembra essere già il soggetto del film tratto da se stesso: infatti a mio parere pecca di vuoti narrativi, personaggi di superficie, mancanza di indagine interiore, come se un soggettista avesse dovuto necessariamente tagliare qualcosa, concentrato solo su alcune scene forti che lasciano fuori fuoco i comprimari e il contesto. Ovviamente non posso negare che è in ogni caso una bella le

Senza piangere (“Patria” di Fernando Aramburu)

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All’inizio ho pensato : "è un romanzo dalla forte valenza politica, si parla dell’ETA, del terrorismo basco, del pensiero indipendentista, di vittime e torturatori". Poi, man mano che mi addentravo nella vicenda, ho capito che il fulcro principale del libro è la famiglia, coi suoi legami affettivi e (spesso) anaffettivi. E’ una lettura molto bella quella di “ Patria ” : ci sono personaggi davvero ben costruiti, icastici, che sembra già di vedere raffigurati in un film (e pare che sarà tratto uno sceneggiato dal romanzo, che continua a essere ristampato a riprova dell’enorme successo europeo). Lo scenario, quello dei Paesi Baschi dagli anni ’70 fino al primo decennio degli anni Duemila, è talmente vivido da diventare esso stesso personaggio. Le birrerie, le strade di San Sebastián, l’industria siderurgica, la pioggia che cade spesso e volentieri, le biciclette, il pesce fritto, ma anche la religiosità tutta particolare, la statua di Sant’Ignazio che raccoglie le preghiere,

Mamma, raccontami una storia ... ("Mi chiamo Lucy Barton" di Elizabeth Strout)

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  Quanto mi piacciono i libri di Elizabeth Strout è difficile da dire. Vorrei che fosse una mia amica perché mi pare di avere con lei una sintonia che ci consentirebbe di notare gli stessi dettagli, di coltivare le stesse curiosità, e forse di piangere delle stesse emozioni. Sono al terzo libro di questa scrittrice (vedi qui e qui ), e ne ho ancora altri per fortuna da leggere: mi piace molto e penso che si noti dalla mia insistente necessità di dirlo.  Il suo raccontare di rapporti familiari è la chiave che apre molte porte dell'interiorità di ciascuno. O quanto meno di chi, come me, è particolarmente attratta da queste tematiche. La storia di Lucy, o meglio dei suoi 5 giorni con la madre a fianco del proprio letto di ospedale, è meravigliosamente costruita attraverso un'alternanza di flashback e di improvvisi ritorni al presente. Il silenzio fra le due donne è fra le cose più commoventi che abbia mai letto: e il fatto che si possa leggere un silenzio la di

No borders ("Exit West" di Mohsin Hamid)

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Si potrebbe  forse definire questo romanzo una distopia, una di quelle che piacciono di questi tempi. Luogo e tempo indefiniti, potrebbe essere passato ma potrebbe essere anche futuro, mentre tutto comincia in un Paese che nessuno nomina ma tutti intuiscono quale sia. L’effetto straniante e raggelante che ne deriva è assolutamente positivo, utile a colpire nel profondo chi legge. I tempi sono quelli che sono, i muri risorgono, il razzismo e la disumanità dilagano, le guerre proliferano: raccontare di un diritto alla migrazione da esercitarsi attraverso misteriose porte che conducono a Ovest (ma che all’occorrenza rispediscono anche indietro, al luogo di origine) è atto necessario, vitale. Il prodigio delle porte non evoca tuttavia niente di trascendente: la vita delle persone resta un percorso di fatica e dolore, ma anche di riscatto , ripartenza e tenerezza. La morte incombe ma l’amore fornisce i suoi attrezzi per sopportarla. La storia di Nadia e Saeed è limpida e crudele,