Mamma, raccontami una storia ... ("Mi chiamo Lucy Barton" di Elizabeth Strout)



Quanto mi piacciono i libri di Elizabeth Strout è difficile da dire.

Vorrei che fosse una mia amica perché mi pare di avere con lei una sintonia che ci consentirebbe di notare gli stessi dettagli, di coltivare le stesse curiosità, e forse di piangere delle stesse emozioni.
Sono al terzo libro di questa scrittrice (vedi qui e qui), e ne ho ancora altri per fortuna da leggere: mi piace molto e penso che si noti dalla mia insistente necessità di dirlo. 


Il suo raccontare di rapporti familiari è la chiave che apre molte porte dell'interiorità di ciascuno.

O quanto meno di chi, come me, è particolarmente attratta da queste tematiche.
La storia di Lucy, o meglio dei suoi 5 giorni con la madre a fianco del proprio letto di ospedale, è meravigliosamente costruita attraverso un'alternanza di flashback e di improvvisi ritorni al presente.

Il silenzio fra le due donne è fra le cose più commoventi che abbia mai letto: e il fatto che si possa leggere un silenzio la dice lunga sulla bravura narrativa di Elizabeth Strout.

Ma è la passione per le storie che le unisce: Lucy vuole ascoltare le storie di sua madre, Lucy vuole raccontare la condizione delle persone ( e lo farà, diventando scrittrice) e in ogni storia mettere un pezzo della sua.
Proprio come le dice l'insegnante di scrittura : «ciascuno ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Ma tanto ne avete una sola». 


Il titolo stesso del romanzo racconta la voglia di Lucy di rimettere al centro se stessa, di raccontarsi come donna in relazione alle altre donne della sua vita (la madre, le figlie), di definirsi senza tralasciare nessun aspettò di sé, neanche quelli più dolorosi da ricordare e da narrare: "mi chiamo Lucy Barton", e questa sono io.

E finché c'è gentilezza, c'è perdono e bellezza, vuol dire che c'è speranza.



*Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton




 

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