Verosimile sia il dolore sopra ogni cosa (“Una vita come tante” di Hanya Yanagihara)
Un libro della cui esistenza ho appreso grazie al tam tam che ha prodotto, in alcuni casi divenendo quasi oggetto di venerazione.
Un libro di 1094 pagine che al di là degli amanti dei tomi massicci (ne conosco un paio), potrebbe scoraggiare i lettori più volenterosi.
Un libro che non posso negare mi abbia tenuto sveglia per più di una nottata e mi abbia fatto scendere parecchie lacrime.
Un libro che ti incatena e ti fa piangere sicuramente ha qualcosa da dire, non lo si può negare.
E infatti non sono in discussione le indubbie qualità di questo romanzo, che in più punti descrive emozioni e sentimenti con passaggi che meriterebbero una bella cornice dorata. Penso alla storia di Harold e del figlio perso troppo presto: le descrizioni dell’amore dei genitori nei confronti di questo bambino irrimediabilmente malato, un amore fatto di paura e di continua ricalibratura delle aspettative, sono bellissime ed emozionanti.
Tuttavia c’è qualcosa che non mi ha permesso di restare conquistata fino in fondo.
La storia dei 4 amici, e in particolare di Jude, il centro di gravità di tutto il romanzo e di tutte le relazioni umane che lo costruiscono, è senza dubbio una specie di parabola, calata in una dimensione temporale non troppo definita , in una New York che stranamente non ruba la scena e resta quasi uno sfondo neutro.
Le parabole non hanno bisogno di risultare realistiche, proprio per il valore simbolico che esprimono, ma la storia di Jude sembra davvero troppo barocca per creare una sospensione dell’incredulità.
Il suo dolore, il suo terribile passato, la sua continua (e sfiancante) necessità di essere salvato, sono troppo insistiti, troppo ripetuti in ogni più recondito angolo del libro. Un martirio egocentrico continuamente esibito tra loft, ristoranti, viaggi e giacche di sartoria.
Sorprendente che abbia incontrato nella sua infanzia tutti questi orchi, in qualsiasi situazione tutti complici nel servirsi di lui senza che nessuno abbia nulla da obiettare.
Sorprendente che incontri da adulto tutte queste meravigliose persone (ricche, di successo, colte, generose e amorevoli) , in un circolo sociale relativamente ristretto.
I 4 amici/coinquilini del college avranno tutti una carriera sfolgorante: e non sto parlando di diventare commercialista o medico. Artisti esposti al Moma, architetti globali, star del cinema internazionale, avvocati da milioni di dollari. Per non parlare dei personaggi di secondo piano: il più sfigato è uno stimatissimo professore di Cambridge.
Boh ... io a un certo punto ho cominciato a sentire una specie di antipatia di classe.
Probabilmente sono una persona cinica, forse mi merito di leggere solo I Malavoglia per tutta la vita, ma alla fine del libro l’unico personaggio che avrei abbracciato per empatia e comprensione era l’autista.
* Una vita come tante, Hanya Yanagihara
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