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Visualizzazione dei post da novembre, 2018

Scene da un matrimonio ("L'amore" di Maurizio Maggiani)

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Mi vergogno sempre un po' quando non riesco a farmi coinvolgere dal lirismo. Quando la poesia del sentimento mi annoia e non riesco a lasciarmi travolgere. Un po' mi vergogno e un po' mi sento in colpa: forse non ho la sufficiente delicatezza interiore per adorare questo libro di Maurizio Maggiani. Non l'ho adorato, è vero, ma posso certo dire che è un lettura che arricchisce: grazie a un linguaggio semplice e sontuoso insieme (sembrano caratteristiche inconciliabili ma lui ci riesce), a una grande intelligenza nel cogliere i dettagli,  alla sapienza emotiva di chi ha capito più di un senso dell'amore. Una storia semplice, una giornata di due sposi, narrata da lui che è più vecchio, più complesso e più ricco di "fatterelli", di amori passati, di vicende che la sposa vuole sentirsi raccontare ogni sera prima di dormire. Non so quanta complicità ci sia fra i due: lui racconta la sua sposa ma non ce la fa amare fino in fondo, non come le donne del suo pa

Lost in translation (“L’eleganza è frigida” di Goffredo Parise)

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Il Giappone esercita un potente fascino, è innegabile. Ovviamente in misura variabile, anche rispetto alle diverse generazioni, ma sicuramente è nota la passione, a volte la manìa, che molti nutrono verso la patria dei manga, della cerimonia del tè, della fioritura dei ciliegi, dei giardini zen, del sushi, di Miyazaki, dei kamikaze, dei dorayaki, di Shibuya, etc. (potremmo continuare a lungo). L'anima del Giappone, come lo spirito dei tempi, è qualcosa di complesso da afferrare. Figuriamoci quanto può essere difficile descriverlo con appropriatezza, senza indulgere all’abuso di termini giapponesi intraducibili e dandone una visione icastica ed efficace. L’eleganza è frigida  di Goffredo Parise ci incanta con la maestria di un grande conoscitore di lettere e parole. Non credo di aver mai letto l'esatta descrizione dell'  “attimo zen”: qui, la narrazione che ne fa Parise è struggente, poetica, azzeccatissima. Basterebbe questo passaggio a rendere conto dello charme d

Our Gang ("Lo schiavista" di Paul Beatty)

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Libro intelligentissimo, affollatissimo, sarcastico, paradossale, scoppiettante, autoironico, amaro, colto, acutissimo. Tuttavia... ho faticato tantissimo a leggerlo, e ad arrivare in fondo. Il limite credo sia principalmente mio. Che non conosco i personaggi televisivi, politici e comunque notie influenti della società statunitense (in particolare californiana, in particolare di Los Angeles) e neanche il pantheon afroamericano. Mi sono persa purtroppo una buona parte delle citazioni, dei riferimenti, e credo anche delle battute che Paul Beatty dispensa nel romanzo. Il paradosso sta tutto nella società statunitense che non ha mai davvero superato la discriminazione (e il razzismo) verso gli afroamericani, pur avendo avuto Colin Powell, Condoleeza Rice e persino Barack Obama: e quindi, perché non ripristinare la segregazione, come atto volontario di orgoglio afroamericano, per salvare una distintività che va scomparendo e un popolo nero che va omologandosi? Ed ecco che a Dickens (quar