No borders ("Exit West" di Mohsin Hamid)




Si potrebbe  forse definire questo romanzo una distopia, una di quelle che piacciono di questi tempi.

Luogo e tempo indefiniti, potrebbe essere passato ma potrebbe essere anche futuro, mentre tutto comincia in un Paese che nessuno nomina ma tutti intuiscono quale sia.
L’effetto straniante e raggelante che ne deriva è assolutamente positivo, utile a colpire nel profondo chi legge.

I tempi sono quelli che sono, i muri risorgono, il razzismo e la disumanità dilagano, le guerre proliferano: raccontare di un diritto alla migrazione da esercitarsi attraverso misteriose porte che conducono a Ovest (ma che all’occorrenza rispediscono anche indietro, al luogo di origine) è atto necessario, vitale.

Il prodigio delle porte non evoca tuttavia niente di trascendente: la vita delle persone resta un percorso di fatica e dolore, ma anche di riscatto , ripartenza e tenerezza.

La morte incombe ma l’amore fornisce i suoi attrezzi per sopportarla.

La storia di Nadia e Saeed è limpida e crudele, dura e brillante come un cristallo di rocca: attraversa confini usando porte che nessuno può sbarrare, ci parla di una Storia che è mille vicende umane insieme.

Vicende popolate di persone che sono Umanità prima di essere Popoli.

L’editore (Einaudi) definisce il romanzo di Hamid una “sberla emotiva”.

Di sicuro non si smette di pensarci dopo aver letto l’ultima pagina e chiuso il volume. Restano addosso la candida religiosità di Saeed, il cinismo tenero di Nadia.

E' un libro che andrebbe molto letto e molto meditato. Non so se la grettezza e l’incultura di questi tempi barbari sarà in grado di farsi contaminare dal messaggio alto di civiltà di Exit West.

Io lo spero.



* Exit West, Mohsin Hamid



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