Train de vie (La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead)






Sono un po’ a disagio a parlare di cosa mi è rimasto dopo la lettura di questo libro.
Perché ad essere sincera l’impronta emotiva che mi ha lasciato è stata davvero sbiadita, povera, fredda.

Come spesso accade, avevo aspettative non trascurabili: un libro che ha vinto premi prestigiosissimi e ha fatto scomodare più di un paragone (dal Quentin Tarantino di Django unchained a Il Colore Viola di Spielberg). A me è venuto in mente 12 anni schiavo di Steve McQueen ad esempio.

Citazioni cinematografiche soprattutto, proprio perché il libro ha questa marcata caratteristica.

Da un certo punto di vista sembra essere già il soggetto del film tratto da se stesso: infatti a mio parere pecca di vuoti narrativi, personaggi di superficie, mancanza di indagine interiore, come se un soggettista avesse dovuto necessariamente tagliare qualcosa, concentrato solo su alcune scene forti che lasciano fuori fuoco i comprimari e il contesto.

Ovviamente non posso negare che è in ogni caso una bella lettura, un libro ben scritto, una storia coinvolgente, piena di colpi di scena.
La trovata un po' da realismo magico della “ferrovia sotterranea” mi ha ricordato quella delle porte di Exit West (leggi qui) , ma non siamo certamente sullo stesso piano di tensione emotiva.

Non mancano tuttavia tanti passaggi che si candidano a restare a lungo nella testa : il popolo afroamericano in formazione, il rapporto misterioso tra Cora, la protagonista e la madre Mabel, il distopico progetto di società della Carolina del Sud, e la onnipresente paura, che accomuna neri e bianchi in una spirale di violenza.

Di speranza ce n’è poca, ma è quella che basta ogni volta a Cora per ripartire.


* Colson Whitehead, La ferrovia sotterranea



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