Vite che potrebbero essere (”Crossroads” di Jonathan Franzen )
Non è facile scrivere qualcosa su un romanzo la cui uscita ha provocato così tanto interesse, che abbiamo visto circolare nelle bacheche di tutti e che è diventato quasi più una tendenza che una lettura su cui riflettere.
Insomma il solito problema che si ha di fronte all’eccesso di notorietà, al libro come oggetto di consumo e allo scrittore americano esibito come status da chi non frequenta con troppa assiduità la letteratura.
Mi sono imposta di non andare a leggere in giro recensioni più o meno prestigiose, proprio perché in questo blog non si fanno recensioni (ed è bene rileggere qui ogni tanto, per ricordarlo), ma si cerca solo di condividere un diario di letture, personalissimo e per lo più composto da sensazioni, emozioni, pensieri vaghi e sparsi.
Premesso tutto ciò, anticipo subito che ho letto “Crossroads” con grande gusto, godendomelo pagina dopo pagina e apprezzando la grandiosa capacità di Franzen di elaborare e ritrarre i personaggi.
In questo romanzo mi pare che porti questa sua preziosissima dote a un livello assai alto: i protagonisti, anche se chi di più e chi in minor misura, sono dipinti come fossero reali, a quattro dimensioni, credibili finanche nelle loro espressioni più drammatiche o inaspettate o improbabili.
Ci sono solo alcune parti che sembrano scorrere via con meno fluidità, ma nel complesso, nei flashback e nei ritorni al presente, è un percorso seducente, costruito con l'abilità dell'autore che conosciamo.
Ho sentito citare, per descrivere questa sua caratteristica, il termine “avvincente qualunquità”: probabilmente questo è anche uno degli obiettivi della ricerca narrativa di Franzen, cioè il recupero e il racconto dei mondi profondissimi e oscuri che si celano dietro vite qualunque. Lo stile, ovviamente, si adegua, semplificandosi e rendendosi più limpido, godibile.
Solo dopo arriva, a mio parere, il corredo di tematiche sociali, politiche e sentimentali : la religione, la menzogna, il senso di colpa, il sesso, l’amore, la dipendenza, la marginalità, il disagio psichico, la frontiera americana, eccetera.
Marion, la mia preferita, è un personaggio fantastico, che me ne ricorda mille altri che ho amato negli anni, confondendosi e sovrapponendosi nella mia memoria emotiva ai personaggi e alle loro autrici, da Sylvia Plath a Alice Munro a Lucia Berlin, a Joyce Carol Oates.
Sappiamo che “Crossroads” dovrebbe essere il primo romanzo di una trilogia annunciata, lo stesso autore ha dichiarato che è stato molto difficile scrivere un libro comunque divertente prestando attenzione a non precludersi lo sviluppo futuro delle vicende e dei personaggi.
E in effetti, il fenomeno particolare che Franzen produce (magistralmente) è che ci sembra già di vederli di nuovo nelle loro vite quotidiane, ma allo stesso tempo non riusciamo minimamente a immaginare che futuro potranno avere.
Un po’ come accade nella vita reale di ognuno di noi: sembra che non cambi mai, eppure travolge.
* Jonathan Franzen, Crossroads
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