Piccola donna tenace (“Zuleika apre gli occhi” di Guzel' Jachina)

 

Zuleika la contadina, la donna ignorante, la tatara infaticabile, piegata dal lavoro, dalle prepotenze, dalla violenza che la circonda.

Zuleika che scopre l’amore anche nell’inferno ghiacciato della Siberia, deportata, schiantata dalla fatica, ma sempre fiduciosa, semplice di animo, generosa.

Zuleika che apre gli occhi e si sveglia nelle mattine fredde, o tiene gli occhi spalancati nella notte, vegliando suo figlio, Zuleika che apre gli occhi sulla vita e sulla morte, Zuleika di fuoco e di coraggio, di passione e di rinuncia.

La sua storia ci offre la possibilità di parlare di un periodo poco conosciuto del dominio staliniano sui popoli russi: la dekulakizzazione degli anni Trenta del secolo scorso, ossia la confisca dei beni mobili e immobili dei contadini, definiti kulaki, che prevedeva infine la loro deportazione verso la Siberia.

Il freddo e una natura dominatrice e matrigna sono ovunque: neve, boschi, fiumi ghiacciati, foreste, lupi e orsi. E Zuleika, piccola donna tatara, una specie di Dersu Uzala che cade e si rialza sempre, sopravvive in questo inferno, ama e scappa dall'amore, lavora e apre gli occhi sul mondo e su di sé.

E con lei i comprimari, il medico, il pittore, il soldato, i protagonisti della storia minima di un grande paese, capaci di tenere viva la fiamma dell’umanità, anche nelle condizioni più ostili e rigide.

È il romanzo di esordio di una scrittrice giovane, e questo spiega qualche ingenuità, a mio parere, nel descrivere una bontà che arriva senza ombre, a due dimensioni, ben lontana da quella “bontà illogica” dei singoli che Grossman riteneva in grado di vincere il male.

*Zuleika apre gli occhi, Guzel' Jachina

 



 

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