La misura del Male (“Il demone a Beslan” di Andrea Tarabbia)




Il romanzo di Andrea Tarabbia, incentrato sulla strage della scuola n.1 di Beslan, in Ossezia, risale a circa 10 anni fa, ma quest’anno è stato rieditato e grazie a qualche annuncio pubblicato per l’occasione sono venuta a sapere della sua esistenza.

Ho letto molto di Anna Politkovskaja su questa vicenda e in generale sulle guerre in Cecenia, per cui sono stata subito attratta da questo libro.

Poi è accaduto che proprio ad ottobre 2021 ricorresse il quindicesimo anniversario dell’omicidio della giornalista della Novaya Gazeta, uccisa con quattro colpi di pistola proprio nel giorno del compleanno di Putin nel 2006.
Contemporaneamente, proprio quest'anno scadevano i termini della prescrizione e si perdeva la speranza di fare giustizia e individuare i mandanti del suo assassinio. 

Infine, poche settimane dopo, il fondatore e storico direttore della stessa Novaya Gazeta, Dmitry Muratov, veniva insignito del premio Nobel per la Pace.

Ancora una volta i dettagli, così intrecciati e in successione, mi fanno immaginare che ci sia un sentiero indicato chiaramente. Non saprei bene per andare dove, ma amo molto questa specie di pensiero magico che si accende su vicende che hanno avuto particolare impatto su di me.

Tarabbia, su queste vicende, ci ha scritto un libro difficile da scrivere, e lo ha fatto senza cadere in trappole sensazionalistiche.
D’altronde, i dettagli della vicenda sono spaventosi, tutto in questa strage evoca il Male, e i demoni camminano in mezzo a sequestratori, ostaggi, reduci, morti.

La vicenda è nota, almeno ai più.

Il punto di vista scelto è quello dell’unico attentatore rimasto in vita, ribattezzato dall’autore Marat Bazarev, condannato al carcere a vita e torturato dai ricordi, dal dolore fisico e dagli incubi. Insieme a lui parlano due dei suoi demoni , un vecchio barbone testimone della vicenda e un bambino vittima della strage.

Dentro di lui un vuoto siderale, un deserto etico, l’impossibilità di separare il bene e il male, ma anche la pietas che lo distingue, nello strazio di piccoli gesti di umanità che compie dentro l’incubo della scuola.

E’ un libro che induce a pensare alla violenza terroristica, all’irriducibile contrapposizione che nasce dalle guerre e che le genera, alla mancanza di senso che assume una strage di bambini, anche dove se ne argomentano le ragioni, e si contrappongono i lutti. Non è dato sapere dove risieda la giustizia, né quale sia il versante buono nel quale prendere posto: unica certezza, l'ineluttabilità del dolore. 

La scrittura è misurata, anche nei passaggi più onirici e in quelli più violenti e dolorosi: così equilibrata da non rubare spazio alla commozione di chi legge, e quando accade, io penso, siamo davanti alla generosità di chi scrive.

* Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan




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