Dramma elisabettiano di provincia americana (“Ohio” di Stephen Markley)

 


Premessa : parlare di “grande romanzo americano” o di “affresco epico” come ho visto fare a proposito di questo romanzo è decisamente troppo.

Siamo di certo abituati all’oscurità della provincia americana, abbiamo visto e amato il Lynch di “Twin Peaks” e letto il grande Stephen King di “Dolores Claiborne” . I più aggiornati si saranno fatti anche qualche viaggio onirico a Silent Hill.
E’ dunque quasi una passeggiata quella che ci viene proposta nella cittadina immaginaria di New Canaan (e il nome non è immune da suggestioni biblico apocalittiche), dove la gioventù si perde e si ritrova, malconcia, a dimostrare quanto sia malato il sogno americano. D'altronde, siamo pur sempre in un paese dove le armi si vendono e si comprano con facilità, così come gli psicofamaci, a qualsiasi età.

Non svelo nulla della trama perché c’è l’ambizione di un piccolo colpo di scena finale, ma non posso nascondere di aver sbadigliato qualche volta.
Quattro personaggi più in rilievo di altri, quattro survivors che ce la raccontano e se la raccontano, non sempre in trasparenza fra di loro.
Troppo male, troppa oscurità e troppi toni shakespeariani un po’ fuori luogo.
Giovani millennial nel bianco bianchissimo Ohio, alle prese con droga (ovunque) , sesso, nazionalismo, politica, guerra, identità e discriminazione, violenza (ovunque), cibo, alcool, famiglie a pezzi, scuola inesistente, disoccupazione, deindustrializzazione e abbandono.
Davvero qualcuno ha pensato che fosse il manifesto generazionale che meritano questi giovani adulti nati negli anni 80-90?

Io sono più generosa con loro e non credo assolutamente a questa devastazione priva di fascino: anche nel degrado si può essere pasoliniani, epici senza retorica.

Faccio solo un esempio, che non vuole essere cattivo o malizioso. Il narratore (onnisciente) nelle primissime pagine di un romanzo di quasi 400, mette una frase, forse per avvertire il lettore che la trama non avrà uno sviluppo lineare :
Difficile dire dove finisca questa storia o come sia cominciata, perché una delle cose che alla fine imparerete è che il concetto di linearità non esiste. Esiste solo questo sogno collettivo scatenato, incasinato, incendiario in cui nasciamo, viaggiamo e moriamo tutti”.

Ed ecco che spunta Shakespeare, citazione libera da Macbeth così un po’ a caso (1). Oltre al fatto che già ci si dice che impareremo qualcosa.
Boh , sarà, di sicuro non ci sembra che l’autore ci possa insegnare la modestia. 


(1) Macbeth, atto V, Scena V

* Ohio, Stephen Markley

 


 

 

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