Farmaco (“Splendi come vita” di Maria Grazia Calandrone)

 


Una poetessa trova in sé la cura, attraverso parole e musica intrecciate che raccontano e (forse) leniscono.

Così mi raffiguro Maria Grazia Calandrone, questa donna straordinariamente coraggiosa che è riuscita a oltrepassare e tradurre in letteratura il suo mal di madre.

Il mal di madre è una cosa che le figlie sperimentano, non sempre, non tutte.
Ma coloro che lo soffrono probabilmente non ne guariscono mai, anche se imparano a gestirlo, in una specie di barcollante convivenza.

Così, anche le scene più agghiaccianti di un amore viscerale e doloroso fra una madre e una figlia (che è due volte figlia) diventano sopportabili, come se dal soffrire provenisse una luminosa energia.
Mi è parso questo il coraggio da ammirare, in una donna che avrebbe potuto cancellare, dimenticare, fuggire lontano. Invece ha compreso e trasfigurato, aiutata dalla letteratura. E da uno spirito sicuramente elevato, come credo sia il suo.

Non è prosa e non è poesia: nella mia esperienza di lettura mi pare più adeguato parlare di pennellate, di quadretti, di flashback o di piccolissimi piani-sequenza.

Non c’è molto altro da dire, è un viaggio personale di ogni lettrice (soprattutto, pur senza voler racchiudere in un genere la lettura).

Sarebbe forse un libro da tenere sul comodino, da rileggere ogni tanto, ma solo per chi non ha in sé focolai emotivi ancora in funzione. In tal caso sarebbe più complicato, come rinnovare continuamente il sanguinare di un graffio.

* Maria Grazia Calandrone, Splendi come vita.

 


 

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