La festa del Nulla (“Due vite” di Emanuele Trevi)

 

Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.

Ci stiamo ormai sempre più abituando a opere di difficile classificazione: l’ autofiction non è più una novità, mentre continuano a comparire opere ibride e felicemente indefinibili.

E’ il caso di questo piccolo libro di Emanuele Trevi, che è un po’ biografia, un po’ memoir, un po’ critica letteraria, un po’ poesia e un po’ riflessione etica, estetica, sentimentale.

Io l’ho amato assai, ci ho trovato molta preziosità, molto amore, molta malinconia e molta intelligenza: in 120 pagine leggere, come intendeva Calvino, senza macigni sul cuore, si affrontano temi dolorosi e cruciali insieme a vicende affettuose e dolcissime.

La storia di un’amicizia, altalenante, raccontata da chi dei tre protagonisti è rimasto in vita per poterlo fare: le due vite del titolo sono quelle di Rocco Carbone e Pia Pera, due autori entrambi scomparsi prematuramente, e quasi agli antipodi come scelte, scrittura e anche come morte, l’una improvvisa, accidentale; l’altra lenta e quasi attesa. E due sono le vite che ognuno di loro vivrà, la prima nel mondo e la seconda nella memoria e nella scrittura. 

Sono ricordi, riflessioni, parole essenziali e piccoli quadri descrittivi di questo rapporto di amicizia che ha oltrepassato la morte ed è arrivato fino ad oggi, grazie alla volontà di Emanuele Trevi di utilizzare la scrittura come strumento elettivo di memoria.

Questo volumetto contiene pagine che andrebbero mandate a memoria, per il coraggio di scrivere in modo così perfetto e gentile le verità che nessuno vorrebbe mai sentire.

Trascrivo un esempio, perché mi ha colpito e perché mi piace che resti anche qui, per poterlo rileggere ovunque io mi trovi:

“ […] nei venticinque anni che l’ho conosciuto, l’aspetto esteriore di Rocco era cambiato ben poco. E dentro, era accaduto qualcosa? Tiranneggiata com’è dalla ripetizione, la nostra vita ha ben poche possibilità reali di evoluzione, meno ancora di guarigione. Semmai, la capacità più auspicabile è quella di arrendersi a se stessi, perché una parte consistente del dolore che si prova dipende dalla volontà di rimediare all’irrimediabile e dunque di avvelenare quello che è con quello che potrebbe essere”.

Una pietra.

*Emanuele Trevi, Due vite.




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