A kind of Blue (“Teoria e pratica di ogni cosa” di Marisha Pessl)

 



Sarà stato il titolo molto seducente o il passaparola tra lettori forti che mi ha fatto crescere la curiosità, non saprei.

In conclusione però, ancora una volta, non posso che trovarmi delusa.

Me lo ripeto ormai sempre più spesso: non basta essere cresciuti alla writing school americana per scrivere bei libri.

In questo caso abbiamo quasi 700 pagine di sfoggio di cultura attraverso bibliografia e cinematografia da parte di una giovane scrittrice americana (fu il suo romanzo di esordio nel 2006), con una vicenda che vorrebbe essere forse mistery o thriller, ma che in me ha suscitato molta noia.

Inutile riassumere la trama, non c’è niente di significativo da ricordare: neanche l’adolescenza, che è raccontata molto peggio di quanto faccia un qualsiasi serial (penso a "Euphoria", e siamo già nell’iperuranio).
Blue, la protagonista, non è riuscita a farsi amare, neanche da me che ho una particolare predilezione per gli adolescenti e le loro storie di formazione. 

Non salva dalla confusione e dalla pesantezza neanche l’espediente narrativo di sviluppare il romanzo come fosse una sorta di piano di studi di un master universitario (con la bibliografia e la cinematografia indicata per titolo e autore, tra l’altro entrambe non così raffinate per un pubblico europeo. Salvo solo la brillantezza di aver inserito anche titoli del tutto inventati).

Ho sperato fino alla fine in qualche guizzo luciferino, in qualche tocco di umanità alla Stephen King, in almeno uno dei personaggi che avesse una terza dimensione o comunque un’identità, ma anche il colpo di scena finale mi è sembrato fumoso. Sorprendente sì, ma per la scarsa convinzione.

Lo stile è faticosissimo senza una reale motivazione, lo stesso tentativo di ironia resta schiacciato sotto cumuli di ostentazione.

Per me è un grande NO (e citiamo pure Donna Tartt ma lasciamo stare le farfalle di Nabokov).

* Marisha Pessl, Teoria e pratica di ogni cosa




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