Saper se domani si vive o si muore (“La città dei vivi” di Nicola Lagioia)
Dell’ultimo romanzo del brillante direttore del Salone del libro di Torino, già vincitore del Premio Strega e ogni tanto conduttore di un programma radiofonico che amo (Pagina Tre), ne hanno parlato tutti.
Gli ingredienti per il successo sono presenti al completo: una vicenda terribile e viva nella memoria, una scrittura limpida e evocativa al contempo, un autore noto, una casa editrice importante, e poi Roma, la città dei vivi e dei morti, la città eterna e dannata, la città aperta e in decomposizione, orrore e delizia, fasto e marciume.
Hanno scomodato tutti il Truman Capote di “A sangue freddo”, ma non ho visto ancora citare “Compulsion” di Meyer Levin (qui il post), che è stupefacente per le analogie fra le vicende narrate.
Ripensando a quel libro mi sono chiesta, senza avere minimamente competenze da criminologa o psichiatra, se esiste una matrice ricorrente, uno schema arcaico fisso nella dinamica dei due assassini che si legano in un rapporto di dominazione e plagio che transita dalla sfera sessuale e approda a un delitto efferato e crudele, inscenando quasi un rituale sacrificale con una vittima estranea.
Tutte ipotesi ingenue che non superano l’inconoscibile di un male che in questa vicenda non è affatto banale, come racconta Lagioia in passaggi spesso struggenti sulla bellezza di Roma.
Complice il fascino che le vicende di cronaca esercitano su ognuno, il romanzo è, a mio parere, più bello del precedente “La ferocia”, che non mi aveva catturato in pieno: mi sembra più sincero, c’è uno sguardo sul dolore e sul male che risulta credibile per i riflessi autobiografici che propone, in grado di scardinare ogni tentazione giudicante o orrorifica.
La realtà non è mai vittima dei cliché, li attraversa indenne e altera.
Di Luca Varani, la vittima, Marco Prato e Manuel Foffo, gli assassini, rimarrà qualche foto su internet, qualche articolo dell’epoca, qualche dettaglio morboso e qualche dubbio inestricabile su chi siano veramente stati: attraverso questo romanzo, sopra a ogni cronaca, rimarrà un dolore oscuro e inesprimibile, che la Città Cinica e Indifferente trasforma, tritura, brucia in eterno e fa riemergere sotto altre forme e in mille nuovi cunicoli bui.
Ma alla fine di tutto il dolore c’è sempre il sole, a Roma.
* Nicola Lagioia, La città dei vivi
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