Il sublime, fra di noi (“Guerra e Pace” di Lev Tolstoj)

 



Ho sempre pensato che fosse sconveniente non avere ancora letto “Guerra e Pace”, e avevo come un buchino dentro che sentivo di dover riempire.

La pandemia mondiale e tutto quello che ancora oggi ne consegue mi hanno dato la spinta necessaria, ma in fondo è soprattutto per amore che all’inizio dell’estate mi sono decisa a intraprendere il viaggio dentro questo romanzo-mondo.

Ho scelto l’edizione Garzanti, perché dotata di traduzione dei numerosi dialoghi in francese e sono partita, quasi militaresca, nella lettura.

Alla fine ci ho messo quattro mesi, forse anche rallentata dal fatto che questa fase di emergenza sanitaria mondiale ha causato in me, come so in molti altri, una specie di blocco del lettore. Non totale, per fortuna.

Oggi però sono contenta di aver percorso queste pagine di scrittura fittissima, carta leggera, dentro un mondo svanito e dipinto dal Tolstoj come in una grande tela. 

Sarebbe ridicolo affrontare qui una discussione sul senso dei classici oggi, sul valore dei maestri russi, e sul grande, incredibile e inimitabile lavoro di Tolstoj.

Sembra impossibile oggi credere che un uomo solo possa aver concepito e scritto (con che raffinatezza poi) un’opera del genere.
Eppure.

Guerra e Pace” è un romanzo-mondo, impossibile da riassumere nei suoi molteplici sottotesti: c’è la vicenda sentimentale, quella storica, quella bellica, quella politica, quella religiosa, quella filosofica, quella storiografica, quella spirituale…

Ci si immerge con una tuta da palombaro, e ci si lascia trasportare dentro, senza fretta, senza preconcetti.

Il sublime è nell’insieme dell’esperienza di lettura: non è facile, non è spiegabile, non è giudicabile.

Scatta se ci si lascia catturare, dopo un pò di pagine, se si entra in un mondo lontano, nel tempo e nello spazio, e si coglie l’opportunità di assistere al meraviglioso spettacolo della letteratura.


* Lev Nikolaevič Tolstoj, Guerra e Pace





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