Mamma Resistenza ("L'Agnese va a morire" di Renata Viganò)





E' bello leggere cosa sia stata la Resistenza nei suoi aspetti quotidiani, soprattutto attraverso gli occhi di una donna come l'Agnese.

Questa è una storia fatta di fatica, fango, nebbia e scarpe bagnate. Di rabbia, zanzare e sangue, di sentimenti materni e di fede semplice nella giustizia. Di paura e di sconforto, di miseria e coraggio.

Agnese è un personaggio immenso, bellissimo, anche se parla poco, non è istruita e si sente molto insicura delle sue idee. Di lei non abbiamo un grande ritratto psicologico ma è una donna che vorresti abbracciare, stringere forte e far sentire nel giusto.
Perché lo è, e il suo modo di stare dalla parte giusta è il più sincero che si possa immaginare.

Anche se è grossa e non più giovane, te la immagini sempre affaccendata nella vestaglia vezzosa che i partigiani hanno rubato in una casa di collaborazionisti: all'inizio si vergogna un po' ma poi la indossa e non ci fa più caso, la scorgi nella nebbia con quella veste chiassosa che prepara il pranzo per tutta la squadra, e ti sembra un'anima gigantesca, instancabile.

Imbattersi in Agnese è come scoprire un lato nuovo della storia della Resistenza, e insieme a lei c'è il paesaggio, co-protagonista e dominatore, con le valli di Comacchio e il delta del Po che invade e infanga.

E' tutta azione, l'Agnese: mi viene da pensarla in contrapposizione ai tormenti di Cesare Pavese, ne "La casa in collina" (ne ho scritto qui).
 Due facce della medesima storia, quella dell'antifascismo e della Resistenza, fatta di popolo e di intellettuali. Interessante anche il diverso ruolo che nei due romanzi si assegna al paesaggio e alla natura.

Non mi avventuro tuttavia in analisi letterario-politiche sul significato del realismo, sul ruolo che ha avuto nell'immediato dopoguerra, sull'epica della Resistenza e così via: il romanzo di Renata Viganò fu al centro di molte polemiche quando fu pubblicato e anche dopo, si disse che era manicheo e privo di capacità critica, ingenuo e troppo di parte.

In ogni caso l'autrice ci offre uno stile oggettivo, piano, privo di enfasi e costruito su una studiata semplicità, anche lessicale. E' la lingua quotidiana dei partigiani che Renata Viganò vuole indicarci, l'unica che possa confermare in maniera efficace che erano loro il Popolo, e che per essere eroi non serve altro che il coraggio.

Un esempio? Eccolo:

"Di giorno i partigiani dormivano, mangiavano si distendevano al sole. Il sole era sempre su di loro, bruciava la schiena, anneriva la faccia, pesava come un carico sulle spalle. La terra, le canne la legna secca si riempivano di calore si sentiva allora l'odore morto degli stagni, odore di muri marci, di stracci bagnati, di muffa, come nelle case dei poveri".






Ps : la prefazione è di Sebastiano Vassalli (non è l'amato Pavese ma è un altro di quegli scrittori che avrei voluto avere la fortuna di ascoltare, con un bicchiere in mano). Una specie di dimostrazione che tutto si tiene.

* Renata Viganò, L'Agnese va a morire



Commenti

Il post più letto del mio blog

Game set match ("Open" di Andre Agassi)

Verosimile sia il dolore sopra ogni cosa (“Una vita come tante” di Hanya Yanagihara)

Sotto il Mondo delle Parole ("Underworld" di Don Delillo)