Epidemie ("Nemesi" di Philip Roth)






C'è spesso, nella produzione narrativa di Philip Roth, una grande attenzione al vigore fisico e alla inevitabile decadenza del corpo, sia essa dovuta alla malattia o alla senescenza.

Anche in questo romanzo, l'ultimo pubblicato, insieme all'annuncio del ritiro dalla scena letteraria, una delle scene più potenti è la descrizione perfetta del lancio del giavellotto di Bucky Cantor, il protagonista, posta in chiusura del romanzo.

Bucky è un personaggio imprigionato dal suo stesso senso del dovere, l'esempio perfetto di spirito vitale che lotta contro l'imperscrutabilità del fato.
Lotta e soccombe, maledicendo un Dio che non comprende e nel quale non ha più fede.

Di fronte a un'epidemia di poliomelite che nel 1944 colpisce il quartiere ebreo di Newark (patria reale, simbolica, affettiva e letteraria di Roth) e si accanisce soprattutto sui bambini, Mr. Cantor non riesce a darsi pace, il suo senso di colpa lo persegue fino a spingerlo a una nemesi in cui , punendosi, vuole forse sostituirsi a quel Dio che non rispetta più.

Non c'è redenzione per Bucky, nonostante sia un personaggio positivo, dall'altissimo profilo morale: un antieroe vero, uno sconfitto dolorosamente umano.

E' un romanzo che insieme a Everyman (il post qui), Indignazione (post qui) e L'umiliazione, compone la quadrilogia dei romanzi brevi , e che racchiude molti dei temi ricorrenti di Roth, anche se il pessimismo non viene qui ammantato di ironia, come in altre fasi della sua produzione letteraria.

Una lettura che assorbe, in un crescendo drammatico e ritmico che culmina nelle ultime, bellissime, pagine. Difficile parlare di un Roth minore (mi chiedo se esista).

(Tralascio, volutamente, le numerose analogie della vicenda narrata con gli aspetti quotidiani della pandemia che abbiamo vissuto e stiamo vivendo: non è in questo che sta la bellezza del romanzo, anche se leggerlo in questo periodo non nego che ne aumenti la forza drammatica).



* Nemesi, Philip Roth 



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