L'uomo senza volto (“Il simpatizzante” di Viet Thanh Nguyen)



Finalmente uno sguardo laterale sulla guerra del Vietnam.

Per averlo, abbiamo dovuto attendere uno scrittore migrante, un vietnamita arrivato negli Usa nel 1975, dopo la caduta di Saigon e la diaspora, quando aveva solo 4 anni.

Viet Thanh Nguyen è cresciuto da vietnamita in esilio in una America che non ha mai fatto veramente i conti con una guerra persa nel modo più penoso: il suo romanzo ha vinto il Premio Pulitzer nel 2016, forse anche per aver saputo rovesciare il paradigma narrativo cui ci hanno abituato libri e film (soprattutto film) sulla guerra in Vietnam.

Nonostante  sia convinta dell’importanza e dell’estremo interesse di una storia come questa, manca tuttavia quell’equilibrio tra cinismo, dramma e ironia che avrebbe reso il romanzo un premio Pulitzer anche nel mio cuore.

Le prima parte, dedicata alla fuga da una Saigon ormai conquistata dell’esercito del Nord, è sicuramente è la migliore, così come apprezzo la scelta di una narrazione tutta in prima persona e al presente, che ci porta fin dentro la testa del protagonista (il Capitano senza nome) : un uomo diviso a metà, una spia vietcong cui è stato chiesto di vivere una vita da infiltrato nella società americana e nell’esercito del sud.

Un bastardo fin dalla nascita, un reietto dotato di intelligenza acutissima e tormentato da crisi esistenziali. Un personaggio potentissimo, che spesso però viene fatto naufragare in qualche cliché (poco credibili e poco felici le sue sortite “sentimentali” o da conquistatore: quando narra di uno sguardo “attratto magneticamente dalla scollatura” mi sono sentita improvvisamente in un hard boiled anni ’50).

Bellissime le pagine che descrivono L’America vista dagli orientali, in grado di smascherare in poche righe secoli di retorica e propaganda:
“Un paese così scioccamente narcisista da definire tutto “super” (i supermercati, le superstrade, Superman, il Super Bowl, ecc)… Benché ogni paese si considerasse a proprio modo superiore agli altri, ne era mai esistito uno che, attraverso la banca centrale del proprio narcisismo, avesse coniato così tanti termini che includevano il prefisso “super”? Che fosse non solo superfiducioso, ma anche superpotente, al punto che non sarebbe stato soddisfatto finché non avesse bloccato ogni nazione del mondo in una presa da lotta libera e non l’avesse costretta a gridare il nome della zio Sam?”
Il riferimento (anche se solo come ispirazione credo) a Francis Ford Coppola e alla vicenda di Apocalypse Now l’ho adorato, avrei voluto che l’autore affondasse di più nello smascheramento della Hollywood white savior: vogliamo dirlo che tutta la filmografia statunitense sul Vietnam è autoassolutoria e dipinge i vietnamiti come pupazzi senza volto e senza voce sullo sfondo? Qui lo si dice, per fortuna, e con grande coraggio:
Per la prima volta, a scrivere la storia sarebbero stati gli sconfitti anziché i vincitori, grazie alla più efficiente macchina propagandistica che fosse mai stata creata (con buona pace di Joseph Goebbels e dei nazisti, che non avevano mai raggiunto un potere altrettanto globale)".

Al netto dei miei puntigli un po' da antipatica, una lettura da fare, e una storia da recuperare , quella del Vietnam fatto a pezzi e mai ascoltato davvero dalla sua stessa voce.



* Il simpatizzante, Viet Thanh Nguyen


Commenti

Il post più letto del mio blog

Game set match ("Open" di Andre Agassi)

Verosimile sia il dolore sopra ogni cosa (“Una vita come tante” di Hanya Yanagihara)

Sotto il Mondo delle Parole ("Underworld" di Don Delillo)