Criminal Minds (“Compulsion” di Meyer Levin)
Da qualche anno sono molto gettonati film e telefilm sui killer seriali e sui cosiddetti “profiler”, che sulla base di elementi apparentemente insignificanti ricostruiscono la personalità del serial killer, anticipandone le mosse e individuandone le ossessioni.
L’FBI, per quello che ne so io, che ho un immaginario deformato dai vari serial tipo Dexter o Hannibal, ha una sede a Quantico, in Virginia, dove lavorano i suoi profiler, criminologi, consulenti vari… un vero e proprio Centro per l’analisi dei crimini violenti.
Tutto questo, nel 1924, l’anno in cui si svolgono le vicende narrate in Compulsion, era inimmaginabile.
Per questo, il libro di Meyer Levin è sorprendentemente attuale, soprattutto per il quadro psicologico che tratteggia dei due dandy assassini ventenni Artie Straus e Judd Steiner (nella realtà Nathan Leopold e Richard Loeb).
Immediato il richiamo al Truman Capote di A sangue freddo, che però è successivo.
Sono in effetti i primi due romanzi-reportage americani su delitti celebri, che all’epoca sconvolsero e catalizzarono l’attenzione degli americani occupando per lunghissimi periodi le prime pagine dei quotidiani.
Fenomeno da noi ben conosciuto: dal delitto di Avetrana a quello di via Poma, passando dall’omicidio dell’Olgiata fino alla triste vicenda di Cogne , e quanti altri siamo in grado di ricordarne, per averne letto sul giornale, visto in tv, parlato con amici, subendo il fascino senza tempo delle vicende di sangue misteriose o irrisolte.
E’ un fenomeno vecchio quanto la capacità dell’uomo di raccontare storie.
La tragedia greca non parla forse spesso e volentieri di omicidi e fatti di sangue?
Meyer Levin ne scrive dopo un trentennio (i fatti si svolsero nel 1924, e il libro uscì per la prima volta nel 1959), ma da un punto di vista privilegiatissimo, essendo stato compagno di college dei due assassini e avendo seguito la vicenda di cronaca e il processo come giornalista in erba a Chicago in quegli anni.
La ricetta contiene un sacco di ingredienti in grado di affascinare: gli anni Venti a Chicago, due assassini giovanissimi e molto ricchi, il loro legame di natura omosessuale e con una dinamica schiavo-padrone, le ricchissime famiglie ebraiche di provenienza, la nascente psicanalisi e le molteplici teorie sulla personalità dei due protagonisti, il processo assediato da giornalisti e curiosi, il fascino di Artie e la sua espressione ironica in aula, il vecchio e geniale avvocato che li salva dalla pena di morte, lo sguardo tenerissimo di Sid, il giornalista (alter ego dell’autore) sull’innamorata Ruth, confusa e smarrita di fronte al suo coinvolgimento emotivo con uno degli assassini.
La storia è così seducente che sono andata a cercare tutte le foto dei vari protagonisti (quelli reali) disponibili in rete: gli sguardi di Loeb e Leopold sono magnetici, enigmatici. Facile indulgere all’ossessione per la vicenda: per fortuna sul caso Leopold-Loeb mi restano ancora da vedere due film (Nodo alla gola di Hitchcock e Frenesia del delitto di Fleischer) oltre che innumerevoli documentari!
Un libro di quasi 600 pagine che si legge davvero senza fiato. lo stile è nitido ma non per questo freddo e distante, o poco curato. Lo stile di un giornalista (americano) di quelli con il pedigree.
* Compulsion, Meyer Levin
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