Telefonare a casa senza nostalgia (Mia madre è un fiume di Donatella Di Pietrantonio)





La premessa di carattere personale è che sono emotivamente fragile di fronte alle storie che riguardano madri/figlie-i,  padri/figlie-i.
La seconda premessa è che non lo sono di fronte a TUTTE le storie sopra indicate.
Ricordo ancora quella specie di ingiustificato livore  che mi risvegliò il libro di Marco Peano , “L’invenzione della madre”. Senza addentrarmi troppo (ché sennò sembra che questo post parli di quel libro invece parla di un altro libro), mi dava enormemente fastidio il processo di progressiva beatificazione che sembrava voler descrivere l’autore, nei confronti di una madre malata e poi mancata. 
Sarebbe una bella tentazione, ma una profana come me non può mettersi qui a discettare con superficialità  di significato simbolico della figura della madre, di matriarcato, di eredità matrilineare eccetera eccetera. Si andrebbe davvero oltre.

Semplicemente, il libro di Donatella di Pietrantonio, Mia madre è un fiume, mi ha colpito perché in alcune espressioni sembra dare le parole giuste a quei sentimenti sepolti nell’indicibile, fra senso di colpa e struggimenti filiali. 
Non è facile dire del rancore misto al bisogno viscerale di una figlia, né parlare del senso di repulsione che genera il corpo senescente di una madre che in quel corpo si è sempre negata alle tue mute richieste di amore.

Poche le sbavature, assente ogni eccesso: una lingua asciutta e dura come i muscoli tirati dal lavoro contadino, un’aria tersa e fredda come quella delle montagne abruzzesi.

La lezione più crudele del libro, per me, è la coscienza di quanto sia difficile, ma giusto, perdonare. 



  • Donatella Di Pietrantonio, Mia madre è un fiume 

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