Il Dio della Scrittura (Libertà di Jonathan Franzen)



Ogni volta che leggo le recensioni dei libri che mi sono piaciuti mi incavolo sempre.
In generale le leggo solo DOPO che li ho finiti, e ugualmente faccio con i film, prima li vedo poi mi leggo le critiche: questione di buonsenso.
Dopo che ho finito Libertà di Franzen mi son messa a fare la stessa cosa, forse perché mi aveva molto coinvolto e mi andava di continuare a frequentare i personaggi del libro, i Berglund, Richard Katz, Lalitha.
Naturalmente mi sono incavolata.
Si può criticare uno scrittore perché è troppo bravo a scrivere?
Ho letto recensioni di signori nessuno che si esercitano alla ricerca del pelo nell'uovo e che parlano di presunzione.
No, dico: presunzione.
Uno che ci ha messo dieci anni a scrivere un libro di 1200 pagine, un libro che ti fumi in pochi giorni perché non riesci ad appoggiarlo sul comodino, un libro che viene dopo "Le correzioni", fulminante successo internazionale che lo aveva fatto conoscere in tutto il mondo (immagino anche l'ansia da prestazione).
Ma io dico a questi pedanti e mediocri sconosciuti: ma scansatevi!
Franzen è bravo, cribbio. Bravo, punto e basta.
E non c'entra nulla il fatto che parli di famiglie (il mio tallone d'Achille e probabilmente il tallone d'Achille di un tot di milioni di lettori) : lo fa e lo fa in maniera superba.
Incomprensibile anche l'accusa di prolissità: ma avete mai letto Tolstoj gente?
In questi casi mi viene sempre in mente Pennac e il suo decalogo dei diritti del lettore : l'ultimo, il decimo, è geniale, il diritto di tacere.

*Jonathan Franzen, Libertà






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